Non può vivere bene chi non è in pace con il suo corpo.

Maria Raffaella Dalla Valle
IL DIARIO

martedì 3 maggio 2016

Recensione di Elena Colombetti del libro "Sorpresi dall'amore" di ANdrea MArdegan




Recensione di Elena Colombetti del libro "Sorpresi dall'amore"di Andrea Mardegan


Sorpresi dall’Amore è un libro che promette bene fin dal titolo. Anche a me che ne sono l'autore sta regalando in questi mesi tante belle sorprese. Fra queste va annoverata l'ampia recensione della prof.ssa Elena Colombetti, docente di Filosofia Morale presso l'Università Cattolica di Milano (...).  Ampia, dicevo ma che si legge tutta d'un fiato. Mi racconta molto di quanto il libro provoca nel lettore. Più di quanto io mi potessi immaginare.


C’è differenza tra la semplice fotografia di un volto e un ritratto: mentre la prima fissa un istante fugace che, in quanto tale, è già passato, il secondo vuole cogliere ed esprimere attraverso l’immagine la personalità e l’interiorità di chi è raffigurato. Nonostante l’immobilità della figura, ciò che appare è lo scorcio di un’identità dalle radici profonde, dove anche la storia ha lasciato la sua traccia. Identità e storia: una persona non è mai circoscrivibile a ciò che emerge in un punto del tempo e la sua compiuta conoscenza richiederebbe l’impossibile narrazione dell’intera vita, di ciò che è noto e di ciò che è nascosto. Qualunque semplificazione che cerchi di ricondurre uomini e donne ad un particolare, definendoli attraverso una nota caratteristica o alcune loro azioni, fa loro torto, li condanna ad una oggettualità che non rende ragione di ciò che sono. è una tentazione a cui nelle relazioni facilmente si cede, con fin troppa leggerezza, rifugiandosi nella sicurezza offerta dalla definizione semplificatoria, nella catalogazione che permette di gestire il rapporto con l’altro secondo categorie ben definite e dalle caratteristiche prevedibili. Lo troviamo anche nei racconti evangelici: tu sei il cieco dalla nascita che chiede l’elemosina (e qualcuno ha peccato per questo, tu o i tuoi genitori), quella donna è una peccatrice, questo è un dottore della Legge mentre Zaccheo è un pubblicano. Se questa catalogazione non può esprimere né cogliere l’unicità dei soggetti, la loro irripetibile identità, allo stesso tempo manifesta l’incapacità avvertita di conoscere veramente chi l’altro sia.


"Prima che Filippo ti chiamasse..."
Anche il migliore dei ritratti non può che peccare di parzialità. Nessuno è testimone della vita intera, e persino il ricordo personale della propria storia è sempre deficitario, accantona particolari, eventi, pensieri. Eppure esiste un testimone che di tutto fa memoria, che non lascia che l’identità si perda nel tempo scivolando nell’irrimediabile non essere del passato. Solo chi è testimone intimo di tutti gli istanti della propria vita, anche quelli il cui carico si gioca nel profondo dell’anima, ed è capace di mantenerli vivi nel presente può dire di conoscere veramente chi sia l’altro. Il dialogo tra Natanaele e Gesù di Nazareth è un riverbero di questa profondità; la sorpresa di sentirsi compreso così intimamente trova voce nella domanda che è quasi un’esclamazione: «come mi conosci?» (Gv 1,48), e la risposta di Cristo «prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto» (Gv 1,48). Solo Dio è così intimo all’uomo da svelare l’uomo a se stesso, da permettergli di raccogliere la propria storia senza timore, qualunque essa sia stata, mostrandogli il senso e la direzione, la grandezza a cui è chiamato.
La condizione di possibilità perché la storia che si fa identità e l’identità che si fa storia sia accolta senza paura è, però, che lo sguardo del testimone non sia né indifferente, né di condanna. L’indifferenza non restituisce identità e la condanna paralizza. L’irreversibilità dell’accaduto può schiacciare come un fardello insopportabile se non è redento da una prospettiva che lo sana senza distruggerlo. Uno sguardo che dimenticasse l’accaduto sarebbe sempre sospetto perché non possiamo fingere l’inesistenza della storia e delle nostre azioni: rimarrebbe sempre il timore che la comprensione non sia vera e sia frutto di un errore, la paura di non essere i veri destinatari di questo essere presi-con-sé, perché tale accoglienza ha pagato il prezzo della rimozione di un tratto della nostra storia-identità. Abbiamo invece bisogno di essere accolti interamente, senza finzioni, senza il timore che, un domani, ciò che è stato accantonato diventi rilevante. Se nei rapporti umani il velo del sospetto, della paura di perdere il consenso, può sempre affacciarsi e gettare un’ombra sulla sicurezza dell’amore, con Dio no. Perché l’amore di Dio per noi è previo a qualsiasi nostro atto, non è conquistato e non è minato dalla debolezza, né dal tradimento. é un amore che fa essere e che non si arresta davanti al male, che va in cerca dell’amato. Addirittura si preoccupa di avvisarci della nostra debolezza: «viene l'ora, anzi è già venuta, in cui voi sarete dispersi, ciascuno per conto suo, e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me» (Gv 16); «io ho pregato per te, perché la tua fede non venga meno. E tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli» (Lc9,32). Ci avvisa in anticipo perché la lotta che dobbiamo sostenere, e persino la sconfitta, non ci sconcerti e non ci distolga da quell’amore che non ha paura della nostra caduta. Ed è proprio questa la prima nota che colpisce nelle pagine del testo di Andrea Mardegan: la narrazione degli incontri dei personaggi con Cristo svela la sorpresa dell’incontro con uno sguardo di amore che cuce la storia a partire da quel bene che forse gli stessi protagonisti non riescono più a vedere o che temono sia troppo debole.

Tredici incontri

Tredici quadri del Vangelo, tredici personaggi, tredici storie. Storie intime e vere che si affacciano col loro carico di fatti, errori, delusioni, speranze, coraggio e fiducia. Storie che Mardegan fa emergere leggendo tra le righe del Vangelo - non è un caso che il medesimo autore mantenga un blog che porta proprio questo titolo -, facendo venire alla luce la verità profonda di uomini e donne che, alcuni senza neanche averlo cercato, si incontrano con Cristo. Non in modo qualsiasi, ma personale, a tu per tu. Non importa la folla che molte volte fa da sfondo a questi incontri. Non importa il giudizio severo e carico di incomprensione che altri possono rivolgere al protagonista. Non importa neanche il giudizio che quegli stessi uomini e donne danno su di sé. Importa invece che si stanno avvicinando all’abisso di amore, misericordia e tenerezza di Cristo. Importa lo sguardo che Gesù ha per loro, per loro soltanto: nessuno è anonimo in queste storie, anche se il Vangelo non sempre ci ha trasmesso i nomi delle persone di cui parla. Forse perché il nome proprio, quello vero, è un segreto tra Dio e l’uomo: «Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve» (Ap 2,17). Dalle pagine del testo si scopre come Cristo cerchi ognuno in modo diverso, sempre unico, perché unica è la persona che gli sta davanti: i suoi sono sempre gesti e parole che rispondono alla vita concreta di ciascuno, che manifestano l’amore singolare, personale.
La narrazione in prima persona rende gli incontri vivi e veri: il lettore si trova così ad osservare Gesù entrando nel Vangelo, riconoscendo qualcosa di sé nell’adultera col suo carico di sofferenza, in Nicodemo che cerca la verità e fatica a capire, nella donna che dalla folla vuole fare un complimento a quel Rabbì così speciale, in Pietro seccato dopo una notte infruttuosa di pesca e che tiene le distanze da Gesù che predica, nell’uomo alla piscina di Siloe frustrato dall’attesa, persino nel secondo condannato a morte accanto a Cristo che negli spasimi dell’agonia assiste al dialogo tra Dema e Gesù di cui incrocia lo sguardo, che si sorprende di saper ancora piangere e che, guardando Maria ai piedi della croce, è punto da un’infinita nostalgia. Sì, perché quello che emerge in queste pagine è proprio la verità della storia umana, il valore del tempo e anche della lotta intima che si svolge nel cuore di ognuno e che agli occhi di Dio trova spazio e giustificazione. Non sono fiabe quelle che si intravedono, dove l’eroe è integerrimo e senza paura, difensore senza tentennamenti del bene. Sono invece vicende in cui il bene che alberga nel fondo di ognuno si intreccia con la paura, con il bisogno di essere amati, con l’orgoglio, con la stizza nei confronti della vita troppo dura, con gli ideali così faticosi da tradurre in opere, con la debolezza e i peccati, col dubbio. Ed è bello vedere come Dio-Uomo non condanni quelle lotte, ma le ricomponga in uno sguardo ammirato per la sua creatura. Come lo sguardo verso la donna samaritana che si avvicina al pozzo e che ha avuto cinque mariti: «Gesù la contempla: ecco l’opera delle mie mani, l’ultima creatura, quella che Dio vide che “era cosa molto buona” (Gen 1,3) e bella. Ed ecco il lavoro delle sue mani, che mio Padre sempre ammira. Eppure c’è anche quell’assenza di gioia; un disordine del cuore che lei da sola non può sistemare. (…) Voglio darle un aiuto, dunque le chiederò un aiuto. Le farò così capire che ha valore per me la sua fatica e che ho bisogno della sua cura» (p18). Cristo ama la sua creatura e viene in suo soccorso. Non astrattamente, con una generica assoluzione alla folla, ma riconoscendo la sua bellezza individuale, la sua storia concreta. E la sua lotta interiore, che acquista diritto di cittadinanza.


"Sorpresi dall'amore" 

Il cristianesimo porta con sé un profondo senso del tempo. Il tempo storico ha un inizio e una fine, ma più ancora ha un apice, quando, come scrive von Balthasar, il tutto entra nel frammento, l’eternità irrompe nel divenire. La storia della salvezza è, appunto, una storia, si dipana nel tempo, lo comprende e in esso si svolge, con un senso che lo trascende ma senza essere talmente altro dal divenire dell’esistenza umana. Dio parla nella storia, in quella universale e in quella personale. Non addita un compimento che nulla ha a che vedere con il mondo, ma svela il compimento come compiutezza. Agostino, nelle Confessioni, rilegge tutta la sua esistenza alla luce dell’incontro con Colui che il suo cuore ha sempre cercato senza saperlo, un incontro che gli svela il senso e la verità a cui tanto anelava. Ed è proprio nell’aprire le prime pagine del suo testo più famoso che troviamo il gioco, a cui è difficile dare parola, dell’immanenza e trascendenza di Dio; Agostino lo esprime con una orazione piena di domande, incalzante: «bisogna invocarti prima di incontrarti? Come si può invocarti senza conoscerti? (..) o piuttosto bisogna invocarti, per incontrarti?» e continua: «E come invocherò il mio Dio, il mio Dio e Signore, se in-vocarlo è chiamarlo dentro di me? E dove è in me lo spazio per accogliere il mio Dio? (…) Non esisterei se io non fossi in te: perché da te e per te ogni cosa esiste.» (Confessioni, libro I,) Dio in cui tutto esiste si fa paradossalmente incontro all’uomo, si lascia trovare. Più ancora: Egli stesso lo cerca, come leggiamo sin dalle prime battute della storia, quando l’uomo e la donna si nascondono nel Giardino e risuona la voce paterna di Dio: “dove sei?” (Gn 3,9). è questa stessa dinamica che la penna di Mardegan fa affiorare nell’affresco dei tredici racconti evangelici: Dio che è già lì, nella profondità irripetibile di ciascuno e che al tempo stesso chiede di entrare. Non passa semplicemente in prossimità della vita di ognuno, ma si fa avanti: «ecco, io sto alla porta e busso» (Ap 3,20).

Una ricerca di uomini e donne in tutta la loro realtà, anima e corpo, non di angeli. Gesù, Dio-Uomo, non disprezza il corpo che Lui stesso ha creato e che ha assunto per sempre nella sua identità, non elimina il suo linguaggio dell’amore come inadeguato: le profonde e serene pagine del libro di Mardegan aiutano anche a soffermarsi sui particolari che troviamo nel racconto evangelico in cui si parla di sguardi, di baci e di carezze, di mani che fanno percepire la vicinanza. Gesù prende per mano e porta in disparte, è grato per la tenerezza delle sue creature, per la donna che parla della gioia di chi ha potuto allattarlo al seno, per i baci e il profumo di chi non ha altre parole per manifestare il suo amore, accoglie le lacrime di Marta e Maria e piange con loro. Come si legge nel racconto della vicenda di Lazzaro, Gesù ha «una voglia matta di andare» (p.86) dai suoi amici che soffrono. Qualunque cosa accada, non demorde. Quello che si scopre è un amore tenero e caparbio, non sbattuto in faccia come una condanna, ma che attira. «Il Maestro mi guarda in modo diverso da tutti gli altri. Mi lascio guardare mentre chiudo gli occhi» (p.78). Persino le parole di rimprovero del Vangelo si rivelano allora come una carezza per muovere l’animo, perché anche chi le riceve, come il fariseo Simone, ha una storia di lotta e Gesù è lì per lui, per riconquistarne, senza violenza e con inedita cura, il cuore. Il titolo del testo regalatoci da Andrea Mardegan non poteva essere più adeguato: sorpresi dall’Amore.
Vedi  su blog di Andrea Mardegan

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