Non può vivere bene chi non è in pace con il suo corpo.

Maria Raffaella Dalla Valle
IL DIARIO

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Fai un pò di mindfulness, leggi, pensa e scrivi.


Respira ... Breath ...

Essendo un blog dedicato alla corporeità è una contraddizione se solo si scrive o al massimo si parla, quindi, prima di dare il tuo contributo:
Fai un respiro profondo e segui questo video: how to meditate in a moment-come meditare in un momento;
Siediti comodamente sulla sedia o per terra (meglio se sul bordo, in modo da stare seduta/o sugli ischi e trovare, muovendoti un pò avanti e indietro, a destra e a sinistra, un punto nel quale puoi stare seduta/o con minor sforzo);
Leggi quanto scritto sotto, per non rinchiuderti in un'unica prospettiva;
Mentre pensi a quello che desideri scrivere, osserva se riesci a tenere gli occhi liberi e la bocca morbida, cosa che potrebbe irrigidirti il collo e la schiena
Infine scrivi quello che pensi, ricordandoti che sei anche corpo...il corpo è un segno, io sono il mio corpo.
Ognuno di noi ha una sua storia, una conoscenza, che è ... incarnata, come si dice oggi embodied.
Per dialogare, comunicare, scrivere cose che possano essere interessanti e non pure polemiche, è necessaria anche "una simpatia, un'empatia di fondo".
Consiglio quindi, a chi voglia contribuire, di leggere e riflettere su quanto scritto sotto!

La conoscenza incarnata

La pluralità di formulazioni nasce dalla condizione umana, dal fatto che non ci è dato tutto per natura, ma abbiamo bisogno di portare noi stessi a compimento attraverso una cultura, e qui sono possibili infinità di direzioni. Ognuno di noi parte da un luogo, da una famiglia, da una lingua, da un'educazione alimentare, degli studi e dei gusti, in parte congeniti e in parte acquisiti, da convinzioni in diversi ambiti, ecc. Due persone che si trovano insieme dopo aver percorso indipendentemente un tratto della loro esistenza, avranno sicuramente esplorato il mondo seguendo il percorso che la vita ha loro offerto, lo avranno compreso secondo le risorse che avevano rispettivamente a disposizione, avranno usato il loro lessico per denominare le cose in cui, di volta in volta, si sono imbattute. In questo incontro è ragionevole che non associno la stessa parola alla stessa cosa, che non attribuiscano la stessa rilevanza a un concetto, che non postulino la stessa gerarchia fra le diverse realtà. E' quindi probabile che talvolta la pensino allo stesso modo su qualche argomento e sembri invece che le loro posizioni siano divergenti, perché divergenti sono le rispettive formulazioni. Imparare a dialogare e ad interpretare significa innanzitutto raggiungere la coscienza adeguata delle risorse proprie e altrui e, in tal modo, superare le une e le altre.

L'enciclica Fides et ratio afferma che, «anche se la formulazione è in certo modo legata al tempo e alla cultura, la verità o l'errore in esse [nelle posizioni del passato] espressi si possono in ogni caso, nonostante la distanza spazio-temporale, riconoscere e come tali valutare»3. Così si percorre la via che va dalla pluralità di formulazioni all'unità della verità. La via inversa (riconoscere la legittima pluralità di formulazioni) si esprime nell'affermare che «nessuna forma storica della filosofia può legittimamente pretendere di abbracciare la totalità della verità, né di essere la spiegazione piena dell'essere umano, del mondo e del rapporto dell'uomo con Dio»4.

Mi viene in mente il tempo in cui la causa di beatificazione di Duns Scoto era ferma perché la sua dottrina non era ritenuta compatibile con il tomismo. Per fortuna finì per imporsi il criterio della compatibilità con la Rivelazione. Così abbiamo ora la meravigliosa opportunità di rendere culto a due personaggi il cui pensiero fa pensare ad una divergenza irriducibile.

Note
3 GIOVANNI PAOLO II, Lettera Enciclica Fides et ratio (1998), n. 87. Questo punto è in un certo senso preparato dal n. 5: «La legittima pluralità di posizioni ha ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel contesto contemporaneo».
4 Ibid., n. 51. Questo punto è preparato dal n. 4: «La capacità speculativa, che è propria dell'intelletto umano, porta ad elaborare, mediante l'attività filosofica , una forma di pensiero rigoroso e a costruire così, con la coerenza logica delle affermazioni e l'organicità dei contenuti, un sapere sistematico. Grazie a questo processo, in differenti contesti culturali e in diverse epoche, si sono raggiunti risultati che hanno portato all'elaborazione di veri sistemi di pensiero. Storicamente ciò ha spesso esposto alla tentazione di identificare una sola corrente con l'intero pensiero filosofico».
Da:
Rafael Jiménez Cataño, Ragione e persona nella persuasione (ita) e Rhetoric, Argumentation, Communication, Anthropology (En)

Cortesia

Conversare richiede agire con cortesia, saper ascoltare, avere fiducia nell’intelligenza, ripudiare la violenza come metodo per convincere. La violenza non è mai una soluzione, la violenza di per sé è stupida. Quando una macchina non funziona, la soluzione non è mai darle botte, ma lubrificarla, oliarla. Nei rapporti umani l’olio è il dialogo amabile, la giustizia intrisa di carità.
Josemaria Escrivà

Non aver paura del dialogoI problemi infatti non si risolvono facendo finta che non esistano.
Papa Francesco 18.V. 2014 



Gli stereotipi

Gli stereotipi hanno un "forte radicamento (...) nella nostra mente, il che costituisce anche un problema di visione: finché un nostro concetto avrà le caratteristiche dello stereotipo, non ci consentirà di vedere altro; donde l'esigenza di ricorrere alla buona volontà, che sposta il peso dell'attenzione fuori dall'ambito concettuale".
Rafael Jiménez Cataño in "Risorse per gestire stereotipi e fenomeni simili" in Cattani A., Argomentare le proprie ragioni, Loffredo Ed.

Anticipo di simpatia

Di fronte allo stereotipo non è la ragione la prima facoltà chiamata in causa ma un insieme di risorse che Aristotele chiama buona volontà (eunoia), che possiamo definire come volontà di capire. Benedetto XVI la formula in una maniera magnifica: “quell’anticipo di simpatia senza il quale non c’è alcuna comprensione”. Quando uno non vuole capire, ogni informazione, per quanto opportuna e perspicua, rimane insufficiente. Quella volontà però non è la nostra, non è nelle nostre mani la facoltà di farla agire. Possiamo solo provare a suscitarla, e a questo scopo il modo migliore è mostrare quella propria, perciò non è di solito indicato il tono di sfida ma, tutt’al contrario, la mitezza nel chiarimento.
Rafael Jiménez Cataño

Pregiudizi

Nel modo di stare nel reale è già in gioco la libertà. A volte non ci rendiamo conto quanto è patetico: uno ti sta descrivendo una cosa e non si rende conto che nel modo di parlare del reale sta già riducendola per un pregiudizio, per un preconcetto, per una misura che gli impedisce di vedere tutto quello che c’è; e poi ti deve convincere, perché la realtà c’è comunque e lo contraddice in continuazione. (…) Questa debolezza ci riguarda tutti perché ci sono cose che facciamo fatica ad ammettere. (..)
“La questione non è che uno abbia dei pregiudizi. Se uno non è un sasso, appena vede una persona, parla con quella persona cinque minuti si fa un’idea ecc… Il giudizio accade in contemporanea. Il punto non è questo perché ciò è inevitabile. La questione è che questa persona, inevitabilmente, nel corso del tempo mi dà ulteriori segni, ma io non mi smuovo più dal mio pregiudizio, neanche con la gru… E se non ci fosse la possibilità del cambiamento, non ci sarebbe la libertà: c’è sempre una possibilità di cambiamento, c’è sempre la possibilità che io mi arrenda a quello che vedo, che io riconosca quello che vedo, perché altrimenti saremmo incastrati in un meccanicismo da cui non potremmo venire fuori. Si tratterebbe della negazione della persona, sarebbe ridurre di nuovo la persona ai fattori antecedenti di tipo biologico psicologico o sociologico. No!
J. Carron

Alcuni pensieri uccidono/Pensiero inclusivo

Alcuni credono che il pensiero sia inoffensivo. Esistono pensieri che, come certi "affetti", uccidono. (...) «Non sappiamo che cosa ci accade: questo è ciò che ci accade», (...)Per questo abbiamo bisogno, ora più che mai, di pensare. Ma dobbiamo pensare in un altro modo.(...) Il razionalismo a oltranza ha portato con sé la più grande esplosione di irrazionalismo che l'umanità abbia finora conosciuto. (...) Si impone, dunque, un cambiamento di modello. Come propone Maclntyre, è necessario passare dal paradigma della certezza al paradigma della verità.(...) Il nuovo pensiero è includente. Il nuovo modo di pensare differenzia, ma non discrimina, e coniuga le caratteristiche percettive e intellettuali dell'uomo e della donna, della cultura umanistica e di quella scientifica, come pure i diversi livelli epistemologici di riflessione sull'essere umano, il mondo e Dio.(...). E' l'amore l'unica possibilità (non dialettica) di cercare l'unità senza distruggere la diversità e di affermare la differenza senza rompere l'unità. La filosofia e la poesia, fin da Platone, sanno che per la comprensione dell'essere umano non ci può essere fredda ispezione, ma contemplazione amorosa.
Alejandro Llano

Imparare ed insegnare

Non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno (a parte miei alunni, che cerco di mettere nelle condizioni di IMPARARE, più che di INSEGNARE loro qualcosa...), ma di testimoniare il fatto che la vita ha sempre il miglior copyright.
Alessandro D'Avenia

La mia verità, la tua verità*

Dispiace sempre assistere a una conversazione promettente che si blocca perché uno degli interlocutori ritiene che manchi una premessa essenziale per il dialogo.

Questa impasse si verifica talvolta per una differenza fra gli interlocutori che si potrebbe paragonare (se usiamo per ogni estremo l'etichetta che gli attribuirebbe l'altro) a quella che esiste fra relativismo e fondamentalismo1.

Sebbene possa accadere che si trovino realmente a dialogare un fondamentalista e un relativista, intendo qui focalizzare i casi in cui gli interlocutori non sono né l'una né l'altra cosa, anche se potrebbero sembrarlo. Partirò, per il momento, dalla prospettiva di chi potrebbe sembrare fondamentalista.

1. Il Realismo Impulsivo

Esaminiamo quindi la situazione di chi cerca di evitare che gli vengano chiuse le porte in faccia perché il suo modo di esprimersi sembra non ammettere pluralismo. A tal fine è utile sapere quali espressioni e strategie sono più frequentemente considerate proprie del non pluralista. E' opportuno inoltre non escludere la possibilità che ci sia realmente in lui una certa rigidità, eliminabile con una migliore comprensione di ciò che significa pluralismo: a tal fine occorre conoscere le ragioni del pluralismo e i motivi che rendono possibile il relativismo.
Fra le formule più usate da chi "professa" il realismo possiamo citare le seguenti: "la verità è una", "la verità è oggettiva", "la verità è la realtà", "la verità è questo" (mentre si tocca un oggetto solido), "la verità non è né tua né mia", "la verità è assoluta". Di fronte a dichiarazioni come queste, molti preferiscono desistere perché ritengono impossibile o inutile parlare con una persona che la pensa in questo modo. Le formule percepite come relativiste sono in buona misura il contrario delle precedenti: "non ci sono verità assolute", "questa è la mia verità", "questo è soggettivo, psicologico, relativo".
In questo campo, una strategia efficace per preservare il dialogo è la comprensione dei sensi in cui è possibile dire che la verità è una, e dei sensi in cui si può dire che la verità è molteplice: a ciò è dedicata la maggior parte delle riflessioni qui esposte. Prima, però, vorrei suggerire qualche strategia comunicativa. Quanto è necessario esprimere la nostra convinzione sull'unicità della verità, sul suo carattere assoluto, ecc.? È probabile che l'interlocutore non percepisca mancanza di pluralismo nella nostra conversazione fino a quando non avremo formulato una delle summenzionate "professioni". D'altra parte, se è proprio necessario pronunciarsi, non bisogna escludere la possibilità di accettare una formula che può sembrare relativista. Se ci dicono che qualcosa è soggettivo, possiamo ricordare che ci sono cose soggettive realissime, vale a dire, realtà che hanno come natura propria l'essere soggettive. Spesso si dice che il freddo e la fame siano soggettivi.
Senza un soggetto che provi freddo, infatti, non c'è freddo, ma bassa temperatura. È vero che spesso chiamiamo freddo anche la bassa temperatura, ma è chiaro che qui si tratta di due cose diverse: l'avere freddo e il fare freddo, la prima chiaramente soggettiva, la seconda oggettiva di per sé, ma facilmente interpretabile in senso soggettivo.
Lo stesso può dirsi dell'aggettivo "psicologico": senza una psiche non c'è né freddo né fame, ma ciò non toglie realtà alla fame che provo.
Per quanto riguarda le cose dichiarate "relative", è sufficiente chiedersi se non siano in se stesse relative.

2. La Verità al plurale

Nei tempi in cui viviamo non è politicamente corretto importunare chi dichiara che "Allah è uno". Per chi afferma che la verità è una, a volte, non e è political correctness che tenga: è un fondamentalista senza appello. Perché attirare su di sé un appellativo così increscioso?
Più che alla pesantezza dell'accusa penso all'interruzione del possibile dialogo. Ci sono tanti sensi non relativisti in cui è possibile dire che ci sono molte verità!
Il primo di questi sensi, molto elementare, si ha quando "verità" è sinonimo di "proposizione vera". La verità che i metalli alcalini hanno un numero dispari di elettroni e la verità che l'Italia si trova sull'emisfero nord sono due verità. Come si può notare, non sempre l'uso al plurale del sostantivo "verità" tinge di relativismo la conversazione.
Persino in argomenti delicati come la fede il plurale è pacificamente usato: si parla, ad esempio, de "le verità della fede".
Questo non nega l'unicità della verità. Si tratta di un fenomeno originato dalla natura della nostra conoscenza e del nostro linguaggio. Conosciamo le cose attraverso una molteplicità di atti di vario tipo, tra i quali i giudizi che sono a loro volta molteplici, ed esprimiamo ognuno di essi mediante una proposizione.
Quello che cerco di dire ha un valore strategico, ma non solo.
È reale: la conoscenza e il linguaggio sono così. L'aspetto strategico risiede nel fare appello alle risorse dell'interlocutore che possano agevolare la comprensione. Un'adeguata coscienza della strategia ci deve portare a "recuperare terreno", che altro non è che completare il senso di ciò che vogliamo dire. Se ci limitiamo all'affermazione che "le verità sono molte", l'interlocutore potrebbe restare convinto di qualcosa di diverso da ciò che volevamo comunicare. Un uso del plurale che comporta conseguenze più rilevanti rispetto all'uso precedentemente citato è quello che consiste nel sostituire alla verità la sua definizione. Un modo classico di definire la verità è il
caratterizzarla come «adeguazione fra l'intelletto e la cosa». La definizione fu coniata da Isaac Israeli, medico e filosofo ebreo del Nordafrica, vissuto a cavallo tra il IX e il X secolo, ed ebbe successivamente fortuna grazie anche a Tommaso d'Aquino che la citò e la fece sua.
Quindi, se è l'adeguazione fra l'intelletto e la cosa, c'è da chiedersi dove sia la verità: è nell'intelletto o nella cosa? Forse l'istinto realista spingerà più di qualcuno a rispondere "nella cosa", ma l'adeguazione può essere soltanto nell'intelletto perché è una realtà cognitiva. Inoltre,
ogni atto di conoscenza che si possa definire vero è una adeguazione.
Ecco di nuovo moltiplicata la verità: ci sono tante verità quante sono le adeguazioni. E di nuovo l'origine della pluralità risiede nel nostro modo di conoscere.

3. La Verità posseduta

Arriviamo così al punto più significativo di questa nuova moltiplicazione, visto che l'intelletto non è qualcosa di astratto: la pluralità degli intelletti e il loro carattere individuale. L'adeguazione di un intelletto non vale per un altro: nessuno può conoscere al mio posto. O l'adeguazione è mia, o io non conosco. Chiamare mia l'adeguazione consente di trasmettere il possessivo alla verità. So bene che questo uso - la mia verità, la tua verità... - ha, il più delle volte, un senso relativista. Capisco anche la prevedibile replica realista: "la verità non è né tua né mia, la verità è la verità". La capisco, e probabilmente condivido l'idea che esprime. Credo tuttavia che questo sia un altro dei freni non necessari del dialogo. Quando qualcuno fa appello a "la sua verità" in questioni esistenziali, lo fa spesso per giustificare un comportamento che potrebbe essere contestato. Personalmente, però, mi è capitato anche di assistere al caso contrario. Una mia amica degli Stati Uniti, sul punto di accettare la proposta di fidanzamento di un ragazzo, capì che per lui il fidanzamento implicava la coabitazione, e decise di non compiere quel passo. Come spiegazione del suo rifiuto diceva: «This is not my truth!». Alla frequente professione di fede "io sono cattolico a modo mio", mi viene spontaneo rispondere che anch'io sono cattolico a modo mio: «Non vorrai che io sia cattolico a modo tuo...», replico, e questo me lo concedono tutti. Penso che un uomo non risponda pienamente alla vocazione cristiana fino a quando non arrivi ad essere cattolico a modo suo. Si è detto prima che ci sono relazioni molto reali o, in altre parole, realtà importantissime di indole relativa. Fra queste c'è la verità, per via del suo carattere di relazione, proprio perché è un'adeguazione. Appare qui evidente come il realismo non consista ridi' eliminare istanze soggettive, relative, ecc.; né valorizzare tali istanze significa diventare relativisti. L'adeguazione è mia o tua ed è una relazione.
Tuttavia (e a partire da questo momento "recuperiamo terreno") non è una relazione qualsiasi: è una relazione di adeguazione. Di adeguazione con la cosa: se stiamo parlando della stessa cosa, dobbiamo coincidere. Se non si è verificata la coincidenza, allora almeno uno di noi due non si è adeguato.
Ora, non abbiamo forse vissuto talvolta l'esperienza di non coincidere, avendo tuttavia l'intuizione (o persino la certezza) che entrambi avevamo ragione? Sarà questo il passo successivo della nostra riflessione.

Note
* Editato originariamente con il titolo Mi verdad, tu verdad, «Ixtus» 56 (2006), pp. 20-23 (nella rubrica "La bendición de Babel"), poi ripubblicato in Rafael Jiménez Cataño, Mi verdad, tu verdad, in Synesis (Cuadernos de Humanismo Contemporàneo, n. 1), Universidad Bonaterra - Departamento de Humanidades, Aguascalientes 2006, pp. 15-20.
1 Nel capitolo successivo (Margini del dialogo) descrivo questa polarità.
2Questa strategia è conosciuta come argumentum ad lapidem, per via della durezza della pietra.
Da Rafael Jiménez Cataño, Ragione e persona nella persuasione (ita)
Rhetoric, Argumentation, Communication, Anthropology (En)


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